Dialogo delle tarantole

 
Dialogo delle tarantole
Autore: Vincenzo Bruno
Collana: Verbamundi 65
Categoria: saggistica / antropologia / tarantismo
Pagine: 100
ISBN 88-497-0333-3
€ 10,00


Nel 1602 a Napoli vennero pubblicati I tre Dialoghi di Vincenzo Bruno, medico e filosofo di Melfi, il primo dei quali, soprattutto, ha garantito la notorietà al suo autore, considerato che l’oggetto di cui si occupa, il tarantismo, sarà destinato a esser dibattuto per secoli fino ai giorni nostri: si tratta del Dialogo delle tarantole di due Filosofi dimandati Pico et Opaco. Il punto da cui trae origine la conversazione è la testimonianza di un non meglio identificato Pugliese, secondo il quale nell’anno 1596 apparve una cometa dal 14 luglio al 2 agosto successivo, fenomeno al quale erano seguiti, come era logico aspettarsi, secondo la mentalità dell’epoca, avvenimenti portentosi: intanto, quell’anno fu secchissimo e ventoso; inoltre, secondo il nostro testimone, a Venosa, città della Basilicata poco distante da Melfi, patria dell’autore, tra altre cose terribili e degne di memoria, accadde che molti uomini e donne furono morsi dalle tarantole e assunsero, di conseguenza, una varietà estrema di comportamenti a dir poco stravaganti. In numerosi casi queste persone affermavano di agire in obbedienza agli ordini di una entità che ne dominava la volontà. In particolare, il testo riporta il momento finale dell’uscita dalla crisi di una giovane donna che, dopo aver a lungo danzato in ossequio ai comandi che la sua «signora» le impartisce attraverso il liuto, se ne libera finalmente, rimanendo poi a terra spossata.

Su Nel 1602 a Napoli vennero pubblicati I tre Dialoghi di Vincenzo Bruno, medico e filosofo di Melfi, il primo dei quali, soprattutto, ha garantito la notorietà al suo autore, considerato che l’oggetto di cui si occupa, il tarantismo, sarà destinato a esser dibattuto per secoli fino ai giorni nostri: si tratta del Dialogo delle tarantole di due Filosofi dimandati Pico et Opaco. Il punto da cui trae origine la conversazione è la testimonianza di un non meglio identificato Pugliese, secondo il quale nell’anno 1596 apparve una cometa dal 14 luglio al 2 agosto successivo, fenomeno al quale erano seguiti, come era logico aspettarsi, secondo la mentalità dell’epoca, avvenimenti portentosi: intanto, quell’anno fu secchissimo e ventoso; inoltre, secondo il nostro testimone, a Venosa, città della Basilicata poco distante da Melfi, patria dell’autore, tra altre cose terribili e degne di memoria, accadde che molti uomini e donne furono morsi dalle tarantole e assunsero, di conseguenza, una varietà estrema di comportamenti a dir poco stravaganti. In numerosi casi queste persone affermavano di agire in obbedienza agli ordini di una entità che ne dominava la volontà. In particolare, il testo riporta il momento finale dell’uscita dalla crisi di una giovane donna che, dopo aver a lungo danzato in ossequio ai comandi che la sua «signora» le impartisce attraverso il liuto, se ne libera finalmente, rimanendo poi a terra spossata.

Su Vincenzo Bruno, medico e filosofo, abbiamo poche notizie. Nacque a Melfi, in Basilicata, intorno al 1560 e divise la sua vita tra la città natale, la vicina Venosa – avendo parte nelle Accademie che vi furono istituite – e Napoli, dove, presumibilmente, conseguì la laurea e pubblicò le sue opere note, I tre dialoghi (1602) e Teatro de gl'inventori di tutte le cose (1603).







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